Esiste ed è operativo il comitato CEDAW, comitato delle Nazioni Unite teso a monitorare l’applicazione della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne.
Nella fattispecie ci riferiamo al caso di una donna già vittima di violenza domestica che aveva subito uno stupro da parte di un agente delle forze dell’ordine incaricato delle attività di indagine in corso sul maltrattamento subito dall’ex marito.
L’agente delle forze dell’ordine era stato condannato in primo grado a 6 anni. Poi è stato assolto in Corte di Appello e poi anche la Corte di Cassazione ha poi confermato l’assoluzione.
Lo stato italiano nel procedimento ha difeso le politiche nazionali adottate negli ultimi anni in materia di prevenzione della violenza di genere nonché l’operato dell’autorità giudiziaria. Ma il comitato CEDAW ha ritenuto che il trattamento riservato alla donna, prima dalla Corte d’Appello e poi dalla Cassazione, non ha garantito “l’uguaglianza” sostanziale della donna vittima della violenza di genere.
Il ricorso al comitato CEDAW è presentato dall’Associazione Differenza Donna, associazione atta a tutelare l’integrità della donna in campo sociale culturale, domestico. Sottolineiamo alcune azioni del Comitato:
“Il comitato CEDAW ha sancito per la prima volta che l’eliminazione di stereotipi sessisti nel sistema giudiziario è un passo cruciale per garantire equità e giustizia per le donne vittime di violenza.
Secondo il Comitato CEDAW il trattamento discriminatorio subito dalle donne nelle Aule di giustizia non dipende solo dall’impatto discriminatorio che le leggi di per sé hanno nei confronti delle donne, ma anche dall’assenza di specializzazione e di sensibilità delle autorità nell’applicazione della legge nei casi di violenza di genere e dall’utilizzo di pregiudizi e stereotipi discriminatori”.
Nello specifico il comitato ha stabilito che: spesso i giudici hanno adottato dei modelli rigidi riguardo il comportamento che considerano giusto per una donna e penalizzano coloro che non si conformano a quel modello.
Nel caso specifico il comitato ha ritenuto che le corti nazionali hanno: “una chiara mancanza di comprensione dei costrutti di genere della violenza contro le donne, del concetto di controllo coercitivo, della implicazione e della complessità nell’abuso di autorità, compreso l’uso e l’abuso di fiducia e l’impatto della esposizione ai traumi successivi”.
Il comitato ha affermato che gli stereotipi crescono dove la legge non identifica in materia chiara “il consenso” quale elemento centrale del reato di violenza domestica.
L’assenza di ciò porta ad un errato scrutinio sulla vita privata della vittima e ad una interpretazione della norma basata su norme culturali e preconcetti che impediscono l’equo accesso alla giustizia e fallisce, non solo di proteggere la donna, ma ripetutamente la sottopone a discriminazioni e ri-vittimizzazione.
Se il consenso è portato come elemento della difesa, allora l’onere della prova non deve gravare sulla vittima ma sulla difesa che deve provare l’esistenza ben fondata di esplicito consenso.
Il comitato ha raccomandato, come misura specifica nei confronti della donna, l’integrale riparazione del danno morale e sociale a lei cagionato a causa della omessa riparazione e protezione anche in quanto vittima di violenza domestica.
Sono stati riconosciuti, inoltre, i danni specifici conseguenti alla accettazione degli stereotipi e i miti basati sul genere da parte della autorità giudiziaria di merito e della Corte di Cassazione.
Il Comitato ha deliberato anche misure di ordine generale che lo Stato deve adottare con urgenza e che riguardano la risposta legislativa e giudiziaria del nostro ordinamento dinanzi alla violenza di genere e sessuale.
Sono state accolte, infatti, le richieste di adottare misure efficaci per garantire che i procedimenti giudiziari relativi ai reati sessuali siano portati avanti senza ritardi ingiustificati e di garantire che tutti i procedimenti giudiziari relativi a reati sessuali siano imparziali, equi e non influenzati da pregiudizi o stereotipi di genere, indicando una vasta gamma di misure correttive rivolte a tutti i livelli del sistema legale.
Il comitato ha raccomandato, inoltre, di fornire programmi di formazione specifica per la magistratura, per l’avvocatura e le forze dell’ordine, il personale medico e tutte le altre parti interessate, con la finalità di far capire le dimensioni legali, culturali e sociali della violenza contro le donne e la discriminazione di genere.