Interessante pronuncia della Cassazione per le spese sostenute per un familiare gravemente disabile.
Con una recentissima ordinanza pubblicata il 9 gennaio scorso (la n. 449/2025), la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione si è espressa in tema di deducibilità delle spese sostenute per il familiare disabile.
Il caso prende le mosse da un avviso bonario di pagamento inviato dall’Agenzia delle Entrate ad un contribuente che aveva portato in deduzione 36.011,00 Euro nel suo modello unico, mentre invece secondo l’Agenzia delle Entrate poteva detrarre solo 4.755,00 Euro. Le spese in questione erano state sostenute dal contribuente per la cura personale prestata da due collaboratrici domestiche a sua moglie, invalida al 100% a causa di un incidente stradale che l’aveva privata dell’uso di tutti e quattro gli arti.
Ora, ferma restando la distinzione tra deduzione e detrazione in materia fiscale – in base alla quale con la deduzione si riduce il valore del reddito complessivamente dichiarato sul quale poi verranno calcolate le tasse, mentre invece la detrazione permette di ridurre le tasse medesime, sottraendo a queste alcune spese, tra le quali quelle sanitarie – la pronuncia in parola risulta estremamente interessante perchè afferma un importante principio di diritto, chiarendo la deducibilità di alcune spese. Ma andiamo con ordine.
Dopo aver ricevuto l’avviso bonario di pagamento, il contribuente presentava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale che, in prima battuta, lo respingeva ritenendo non impugnabile il semplice avviso bonario. A questo punto l’Agenzia delle Entrate emetteva una cartella di pagamento, anch’essa impugnata dal contribuente. Questa volta la Commissione Tribuataria Provinciale accoglieva il ricorso e annullava la cartella esattoriale. Ma l’Agenzia proponeva ricorso in appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, che tuttavia confermava la decisione di primo grado e l’annullamento della cartella. Il caso giungeva così, su ricorso dell’Agenzia delle Entrate, in Cassazione.
La decisione degli Ermellini si fonda su una decisiva differenza tra l’applicazione dell’art. 10, c. 1 lett. b) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi e l’art. 15, c. 1 lett. c) del medesimo Testo Unico.
Il primo sancisce la deducibilità delle spese prestate per assistenza specifica (“le spese mediche e quelle di assistenza specifica necessarie nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione”), mentre il secondo (applicabile secondo l’Agenzia delle Entrate al caso in esame) dispone la sola detraibilità delle spese sanitarie non specifiche, cioè non specialistiche, sostenute da personale non specializzato (“spese mediche e di assistenza specifica diverse da quelle indicate nall’art. 10, e dalle spese chirurgiche, per prestazioni specialistiche e per protesi dentarie e sanitarie in genere, nonchè dalle spese sostenute per l’acquisto di alimenti a fini medici speciali”). Secondo l’Agenzia, la Commissione Tributaria Regionale nella sua sentenza, aveva errato, considerando la locuzione “assistenza specifica” come riguardante le specifiche esigenze della persona invalida, mentre invece occorre far riferimento alla natura necessariamente specializzata del personale utilizzato.
Ed è proprio sull’interpretazione delle due norme che la Cassazione fa chiarezza ribaltando quanto asserito dall’Agenzia delle Entrate. La dizione “assistenza specifica” indica, secondo la Suprema Corte, un’assistenza specificamene diretta alla tutela della persona bisognosa. La distinzione tra le due norme (l’art. 10 e l’art. 15 del T.U.I.R.) deriva infatti dal destinatario dell’assistenza e non, come invece ritenuto dall’Agenzia delle Entrate, dalla natura dell’assistenza. Quindi – continua la Corte – l’art. 10 si rivolge ai soggetti afflitti da grave e permanente invalidità o menomazione, tale da aver già determinato il riconsocimento di handicap grave ex art. 3 L. 104/’92 e pertanto la stessa norma prevede il più ampio e favorevole regime fiscale della integrale deducibilità; l’art. 15 invece fa riferimento a soggetti diversi, eventualmente anche invalidi, ma tuttavia non disabili gravi ai sensi dell’art. 3 L. 104/92. Si tratta dunque sempre della stessa assistenza specifica, ma cambiano i destinatari, che solo ai sensi dell’art. 10 del Testo Unico sono colpiti da grave e permanente invalidità ai sensi del suddetto art. 3 L. 104/92.
La Cassazione statuisce quindi il seguente principio di diritto: “le spese deducibili ai sensi dell’art. 10 c. 1, lett. b) T.U.I.R. perchè sostenute dal contribuente per l’assistenza specifica di persona afflitta da grave e permanente invalidità o menomazione, rilevante ai sensi dell’articolo 3 della legge 05/02/1992 , n. 104, sono le spese necessarie all’assistenza di detto beneficiario perchè specificamente dirette a tal fine, senza che a delimitare la deducbilità e il regime di favore previsto dalla norma sia la natura specialistica della assistenza ovvero la particolare qualificazione professionale del soggetto che presta l’assistenza”.
E sulla base di questo principio gli Ermellini hanno respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando quanto già stabilito nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale e cioè l’annullamento della cartella esattoriale.
Si tratta di una decisione molto rilevante per tutti i contribuenti (e noi come Confeuro sappiamo che ce ne sono purtroppo davvero tantissimi) che ogni giorno lottano con mille ostacoli a causa dei problemi derivanti dall’invalidità, e bene ha fatto la Suprema Corte nel riconoscere il regime di favor della deducibilità fiscale per le spese sostenute per la cura del soggetto gravemente disabile del nucleo familiare.