Sono talmente piccole da risultare spesso invisibili all’occhio umano.
Le microplastiche sono minuscole particelle di materiale plastico, prodotte dall’uomo, di dimensioni comprese tra i 5 millimetri e 330 micrometri. Derivano da fonti diverse: abbigliamento, processi industriali, prodotti cosmetici. Come è stato già dimostrato, sono presenti in grandissime quantità nell’ambiente, specialmente quello marino, risultando potenzialmente nocive per la nostra salute.
La plastica quando finisce in acqua si discioglie in frammenti più piccoli per molti motivi, dall’effetto dei raggi ultravioletti al vento, dalle onde ai microbi e alle alte temperature. Oltre che per dimensione, le microplastiche possono essere classificate anche in base alla loro formazione e alla loro composizione. Nel primo caso, troviamo due categorie di microplastica: la primaria, ovvero quella prodotta direttamente dall’uomo, e la secondaria, cioè le particelle che derivano dalla frammentazione di rifiuti o fibre plastiche più grandi già presenti nell’ambiente.
Nella quasi totalità delle particelle ritrovate, le fonti originarie di quelle secondarie sono i prodotti utilizzati dall’uomo come bottiglie, bicchieri, piatti e posate di plastica, reti da pesca, pellicole e contenitori di cibo.
Ognuno di noi, senza saperlo e senza rendersene conto, produce ogni giorno grandi quantità di particelle plastiche. Sono tantissime le attività umane che rilasciano nell’ambiente quantitativi di particelle piuttosto elevati. Per esempio, molte di queste derivano direttamente dagli abiti che indossiamo, perché sono composti da poliestere e altre fibre sintetiche che, staccandosi dai nostri indumenti, si disperdono nell’ambiente. Uno studio condotto dall’associazione no profit Orb Media, ha riscontrato la contaminazione di microplastiche nell’acqua di rubinetto dei Paesi di tutto il mondo.
Nemmeno l’Italia è esente dall’inquinamento da microplastiche: il Mediterraneo è infatti uno dei mari più inquinati al mondo, tant’è che vi si concentra il 7% delle particelle di plastica a livello globale.
Sono numerosi gli studi che hanno come obiettivo quello di dimostrare la pericolosità delle microplastiche per la salute umana. Come conferma il dossier pubblicato da Greenpeace, la presenza delle microparticelle è stata documentata in organismi differenti e con diverse abitudini alimentari: dalle specie planctoniche agli invertebrati, ma anche nelle creature marine più grandi come cetacei e predatori.
Da questi dati emerge come una percentuale che va dal 25 al 30% dei pesci e degli invertebrati conteneva microplastiche, specialmente il polietilene, il polimero dei prodotti usa e getta. Inoltre, è stato dimostrato come le microplastiche si trovino non soltanto nei pesci che poi finiscono sulle nostre tavole, ma anche nel sale da cucina comunemente utilizzato per condire i pasti.