Una recentissima circolare INPS, in relazione all’erogazione dell’assegno di invalidità civile e della pensione di inabilità civile e ai limiti di reddito previsti in materia, recita: “La Corte di Cassazione, con diverse pronunce, è intervenuta sul requisito dell’inattività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, come modificato dall’articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, affermando che il mancato svolgimento dell’attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio. La giurisprudenza di legittimità, quindi, è costante nel ritenere che lo svolgimento dell’attività lavorativa, a prescindere dalla misura del reddito ricavato, preclude il diritto al beneficio di cui all’articolo 13 della legge n. 118/1971 (cfr. Cass. n. 17388/2018; n. 18926/2019). Alla luce di tale consolidato orientamento, a fare data dalla pubblicazione del presente messaggio, l’assegno mensile di assistenza di cui all’articolo 13 della legge n. 118/1971, sarà pertanto liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario.”
Ci sembra opportuno commentare il messaggio in parola, in quanto potrebbe aprire le porte ad un vero e proprio mutamento complessivo del sistema dell’invalidità civile nel nostro ordinamento. Ora, se da un lato i limiti di reddito continuano ad essere previsti per l’erogazione del beneficio e sono, ad oggi: € 16.982,49 annui per la pensione di inabilità civile ed € 4.931,29 annui per l’assegno di invalidità civile, con i requisiti sanitari rispettivamente del 100% e del 74% di incapacità lavorativa, dall’altro lato suona molto strano il requisito dell’inattività lavorativa che, personalmente, ritengo debba intendersi non totale, quantomeno in materia di assegno di invalidità civile, dove una capacità di lavoro, seppure residua, resta.
Il tema da affrontare e su cui certamente si ritornerà in futuro, è quello del requisito reddituale per gli invalidi civili. Questi soggetti, già sono individui malati e di per sé portatori, per la loro semplice condizione psico-fisica di salute, di maggiori diritti rispetto ai normodotati; essi non possono, a mio avviso, essere ulteriormente penalizzati.
Ed infatti, se applichiamo alla lettera la norma, abbiamo solo due strade: o ritoccare verso l’alto i limiti di reddito da lavoro sia per gli invalidi civili (74%) che per gli inabili civili (100%) e fare in modo che essi possano in concreto svolgere una pur minima attività lavorativa, e facendo sì che nessuno resti indietro, soprattutto i malati; oppure, come invece pare voglia fare l’INPS, far sì che cada il limite di reddito per la materia, con l’inattività lavorativa richiesta per l’erogazione del beneficio, e questo non farà che aumentare il lavoro in nero e far felici i percettori di RDC e PDC che invece ricevono e continueranno a ricevere denaro pubblico senza un reale motivo valido. O quantomeno, andrebbe fatta una norma che tenga conto dei percettori di Reddito di Cittadinanza/Pensione di Cittadinanza, che è una misura molto discutibile (peraltro già rifinanziata per svariati miliardi di Euro) e che, se non ancorata, come oggi non è, a un reale inserimento nel mondo del lavoro, lascia davvero il tempo che trova.
E’ utile batterci per far vivere le norme applicandone lo spirito originario e quindi, nel caso dell’assegno e della pensione di inabilità civile, aumentare i limiti di reddito in considerazione degli indici ISTAT, della rivalutazione monetaria e dell’inflazione, con adeguamento anche degli importi pensionistici, e parallelamente intervenire a ridurre e poi bloccare l’erogazione dei Redditi di Cittadinanza a tutti i NEET (Neither in Employment or in Educational or in Training), cioè coloro i quali non sono impegnati né a lavorare, né a studiare né a cercare lavoro. Ed in Italia oggi sono oltre il 23%! Non troviamo giusto far pagare i costi del RDC/PDC agli invalidi civili, che sono vere persone malate, anche gravemente, ma che a volte hanno comunque voglia di lavorare e di mettersi in gioco ed in discussione.
In uno Stato di Diritto come il nostro, non è tollerabile una spesa pubblica che non bilanci bene i reali interessi delle persone, soprattutto i più deboli e svantaggiati.