Nel corso degli anni il sistema pensionistico ha avuto variazioni nel tempo.
Prima della riforma Dini le pensioni venivano calcolate con il metodo retributivo e il calcolo veniva fatto in base alla media dello stipendio percepiti negli ultimi anni di lavoro e con almeno 18 anni di contributi.
Successivamente, per chi aveva iniziato a lavorare dal 1996 in poi, veniva applicato il sistema contributivo. Ha diritto al sistema misto invece chi aveva versato i contributi entro il 1995 senza raggiungere i 18 anni di contributi.
Con il passare degli anni, il livello pensionistico è aumentato sempre di più, le aspettative di vita e le poche nascite hanno contribuito in questo. Infatti la maggior parte dei lavoratori deve raggiungere 67 anni di età e 20 anni di contributi.
Invece, per coloro i quali non raggiungono i 20 anni di contributi devono attendere anche loro 67 anni di età. A causa dell’aumento della soglia di età pensionistica, la maggior parte dei giovani si ritrova senza occupazione e con un futuro incerto.
Per contrastare questa problematica, i sindacati stanno studiando alcuni metodi da proporre allo stato per fronteggiare pensioni future basse al limite della povertà.
La proposta che circola è quella di stabilire un importo mensile minimo al mese soprattutto a quei giovani che si ritrovano con contratti discontinui senza ignorare anche gli anni di formazione, di studio, di maternità e congedi per malattia. Prima di raggiungere questa riforma, naturalmente bisogna considerare se ci sono risorse sufficienti e soprattutto se il debito pubblico non ne risentirà.