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PENSIONI E GENDER GAP

Ago 4, 2022

L’Inps, nei giorni scorsi, ha presentato alla Camera e alla presenza del Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, il “XXI Rapporto annuale”. A prima vista emerge la crescita delle disuguaglianze di genere ed età nel mercato del lavoro, con effetti che si ripercuotono sulle pensioni.

Dal rapporto risulta che nel 2021 le donne hanno percepito solo il 44% dei redditi pensionistici ed il 32% dei pensionati ha un assegno inferiore ai 1.000 euro al mese.

Sono stati 16 milioni i pensionati a fine dicembre 2021, certificati dall’Inps, di cui 7,7 miliardi uomini e 8,3 milioni donne per un importo lordo complessivo che raggiunge quasi 312 miliardi di euro di prestazioni erogate.

L’assegno medio mensile per un uomo è 1.884 euro lordi, quello delle donne scende a 1.374 (37% in meno, la differenza media supera il 60%).

Se si guardano specialmente i trattamenti anticipati e di vecchiaia il problema è da rinvenire nella criticità dell’esperienza lavorativa e retributiva. Durante gli anni le donne si sono ritirate dal lavoro, andando in pensione, sempre più tardi per adeguarsi ai colleghi uomini, pur avendo lavorato meno in termini di ore, e percependo una paga oraria settimanale, inferiore a quella degli uomini e di conseguenza avendo versato meno contributi.

Un ulteriore fattore a rinforzare il divario salariale di genere è la diffusione tra le donne dei contratti a termine, con una retribuzione media oraria inferiore del 30% rispetto ai contratti a tempo indeterminato.

A pesare sul divario è in particolar modo il part-time, soluzione scelta in prevalenza dal genere femminile, con un gap retributivo rispetto al full time di oltre il 30%.

Nel rapporto si è anche fatto cenno al futuro previdenziale della generazione X (i nati tra il 1965 e 1980) che si prospetta abbastanza magro. I giovani dovranno lavorare in media 3 anni in più rispetto ai più anziani ottenendo comunque una pensione più bassa o meglio una pensione di 750 euro mensili che è poco più del trattamento minimo.

Il problema dei futuri pensionati poveri è che la loro esigenza è collegata al principio della sostenibilità del sistema pensionistico nel medio periodo.

Il rapporto mostra che da una parte le varie misure temporanee (quota 100 e ora quota 102) stanno spingendo ad uscire anticipatamente dal mondo del lavoro molte più persone, ma dall’altra che la base contributiva si sta restringendo.

“Per mettere in equilibrio il sistema sarebbe necessario più lavoro meglio retribuito”. Pasquale Tridico, Presidente dell’Inps,  è ferreo nell’obiettivo di “recuperare” il sommerso e favorire una maggiore produttività nelle aziende, con stipendi più alti.

Si deve puntare “ad un forte investimento in formazione soprattutto durante il periodo giovanile con incentivi contributivi”.

Sono state avanzate diverse proposte per superare questi immensi scogli e barriere.

Una tra tante sarebbe quella di valorizzare gratuitamente, a fini pensionistici, il corso di studi universitario e altri periodi di formazione a condizione che la misura “non superi un determinato importo prestabilito”.

Viene proposta anche una programmazione e la regolarizzazione di nuovi cittadini stranieri per coprire i posti di lavoro non sostituiti dall’invecchiamento della popolazione.

Un ulteriore ipotesi si basa su un aumento della natività, che andrebbe sostenuta ulteriormente per rafforzare la sostenibilità delle prestazioni previdenziali del lungo periodo.