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QUANDO IL LICENZIAMENTO È ILLEGITTIMO

Lug 16, 2024

Interessante pronuncia della Cassazione

Con una recentissima decisione (la n. 18547 dello scorso 8 luglio) la Suprema Corte si è espressa evidenziando con chiarezza due principi di diritto molto importanti in materia di licenziamento. Vediamo di cosa si tratta.

Il caso prende le mosse da un ricorso per Cassazione presentato dall’azineda datrice di lavoro condannata in secondo grado alla reintegra nel posto di lavoro del dipendente licenziato, e tenuta altresì al risarcimento (stabilito dai giudici) di un indennizzo rapportato all’ultima retribuzione e calcolato dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.

Il licenziamento intimato al lavoratore era stato contestato da quest’ultimo perchè conseguente al suo rifiuto di trasformare il contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Il giudice di prime cure aveva dato ragione al lavoratore che aveva impugnato il licenziamento ritenendolo illegittimo, e lo stesso aveva fatto la Corte d’Appello, confermando la decisione di primo grado e respingendo l’appello del datore di lavoro.

Il caso giungeva così in Cassazione. Ma anche la Suprema Corte continua a dar ragione al lavoratore, sulla base di due determinanti principi in materia di diritto del lavoro.

Il primo così statuisce: il licenziamento dettato dalla necessità di trasformare il contratto di lavoro a tempo parziale in contratto a tempo pieno o viceversa non è giustificato, stante il disposto dell’art. 8, comma 1 D. Lgs. 81/2015 (“Il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto  di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o  viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento”). E da quresto principio deriva che il licenziamento intimato in conseguenza del rifiuto del tempo parziale deve ritenersi ritorsivo perchè scaturisce dal solo decisivo scopo (perseguito dal datore) di aggirare il divieto or ora richiamato attraverso l’illegittima ed autoritaria ritorsione ad una condotta lecita del lavoratore (ossia quella di opporsi alla trasformazione del contratto di lavoro).

Il secondo principio richiamato dalla Cassazione è diretto corollario del primo: al licenziamento ritorsivo – dato che può essere ricondotto ad un caso di nullità del recesso contrattuale previsto dall’art. 1345 c.c. (il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a conlcuderlo per un motivo illecito comune ad entrambe) –  trova applicazione  la tutela della reintegra del posto di lavoro stabilita dall’art. 2 del D. Lgs. n. 23 del 2015 (…il giudice ordina al datore di lavoro la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro…), sebbene tale ultima disposizione sia stata dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 22/2024 della Consulta.

Appare dunque molto interessante questa decisione della Cassazione, perchè molto spesso il lavoratore è costretto (pena il licenziamento ritorsivo) ad accettare condizioni di lavoro non confacenti alla sua condizione o comunque inique o giustificate solo dall’ingiusta volontà del datore di risparmiare (illecitamente) sul lavoro dei suoi dipendenti.

Per noi, che lavoriamo costantemente a tutela dei diritti ed interessi dei lavoratori e dei pensionati, si tratta certamente di una buona notizia, visto che la Cassazione ha dimostrato ancora una volta di essere un baluardo sicuro per la reale e concreta attuazione dei diritti dei lavoratori.

Spiace tuttavia che spesso e volentieri si debba arrivare al terzo grado di giudizio per avere una tutela effettiva, quando basterebbero dei controlli più accurati a monte per evitare sul nascere determinati (e purtoppo molto frequenti) comportamenti illeciti posti in essere dai datori di lavoro.

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