Il salario minimo europeo è un argomento di grande ed attualissimo interesse, a livello sia nazionale che comunitario. Allo stato attuale esistono solo 6 Paesi nell’Unione Europea che non hanno un salario minimo previsto dalla legge. Tra questi Paesi, oltre all’Italia, vi sono l’Austria, la Danimarca, Cipro, la Finlandia e la Svezia. In tutti gli altri Paesi dell’UE invece vige un salario minimo previsto normativamente che oscilla tra i 311,89 € medi mensili della Bulgaria e i 2141,99 € medi mensili del Lussemburgo. La nostra Carta Costituzionale ed il diritto comunitario danno dei principi e delle linee guida che nell’ambito del mercato del lavoro vanno messi in atto, sempre nel rispetto delle peculiarità e delle criticità dei territori nazionali e locali.
Nel nostro Paese, ad esempio, vari sono i temi di scottante attualità che riguardano il mercato del lavoro: tassazione piuttosto elevata e forse troppo disomogenea, carenza di interventi normativi strutturali almeno nei settori trainanti dell’economia, lavoro nero, caporalato e, non ultima, una eccessiva e alle volte ingiustificata sperequazione tra lavoro nel settore pubblico e lavoro nel settore privato.
In uno Stato di diritto come il nostro, alla luce anche dell’esperienza quasi ventennale delle liberalizzazioni nel settore del mercato del lavoro, potrebbe essere auspicabile un massiccio intervento da parte del legislatore non tanto nel prevedere un salario minimo, quanto piuttosto nel legiferare meglio sulla contrattazione collettiva nazionale e territoriale, con particolare riferimento ai principi giuridici sanciti dalla Costituzione e dalla normativa comunitaria.
Si potrebbe puntare quindi su quelli che da sempre sono i volani del diritto sociale e del lavoro, ovvero i sindacati e i patronati, le agenzie di somministrazione lavoro, gli intermediari del settore che possano rendere un triplice servizio alla società: essere d’aiuto a chi vuole darsi da fare a trovare un posto di lavoro; essere utili alle aziende creando mercato del lavoro.
Il salario minimo non sia la via maestra, ma può eventualmente servire solo come linea guida e indicazione di massima per i datori di lavoro e per i lavoratori, perché il mercato del lavoro in Italia e in Europa è molto fluido, e soprattutto con le recenti riforme normative si è continuato a liberalizzarlo sempre di più, lasciando alla contrattazione tra privati e a quella categoriale il potere di stilare e rispettare i Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro.
Sebbene sia giusto puntare verso l’alto per i salari, adeguarli al costo della vita, dare libero accesso e una grossa mano all’ingresso dei giovani (motivati!) nel mondo del lavoro, d’altro canto non possiamo non tenere conto della valenza decisiva dei corpi intermedi.
Disincentivare il lavoro irregolare può essere fatto solo dando una mano anche al datore di lavoro privato, che purtroppo spesso rimane solo a doversi sobbarcare onori e soprattutto oneri di una azienda, per piccola o microscopica che sia (non dimentichiamo quanti imprenditori suicidi sono morti anche nel periodo pre-covid).
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