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L’INVERNO DEMOGRAFICO IN ITALIA

Mag 18, 2023

Alla luce della scottante attualità dell’argomento, ecco alcune riflessioni sul tema dell’inverno demografico (denatalità) nel nostro Paese.

Immaginiamo che esistano nel mondo due Paesi.: il primo ha un numero medio di figli per donna che si mantiene nel tempo poco sotto i 2. Di conseguenza, pur con un saldo migratorio positivo, la popolazione non cresce ma nemmeno diminuisce.

Ogni nuova generazione ha una consistenza sostanzialmente in linea con quelle precedenti; l’invecchiamento della popolazione risulta moderato e determinato solo dall’aumento della longevità. Diventa allora più semplice gestire questo processo come opportunità da cogliere, investendo sulle condizioni di una lunga vita attiva. Il secondo Paese ha invece una fecondità sotto l’1,5. Pertanto, la popolazione è in sensibile diminuzione: il saldo tra nascite e decessi diventa sempre più negativo e l’immigrazione non riesce più a compensarlo: a fronte di una popolazione anziana che aumenta il proprio peso, la riduzione della natalità rende sempre più debole la consistenza delle nuove generazioni. Si indebolisce la forza lavoro e peggiora fortemente il rapporto tra anziani e popolazione attiva con maggior difficoltà, rispetto al primo Paese, sia di produrre ricchezza e benessere, sia di rendere sostenibile e funzionante il welfare pubblico.

Tutto ciò vincola al ribasso anche le risorse che possono essere investite sulle nuove generazioni, in particolare sulla formazione, gli strumenti di transizione scuola-lavoro, l’autonomia e la formazione di una famiglia. Appare evidente come sempre più giovani preferiranno spostarsi nel primo Paese, che fornisce migliori opportunità di realizzazione sia professionale che di vita.

Di fronte a squilibri demografici che aumentano, la stessa immigrazione diventa una leva sempre più debole: un territorio che non offre adeguate condizioni di valorizzazione e di sostegno progettuale agli abitanti del posto, difficilmente diventa attrattivo per giovani dinamici e qualificati dall’estero, che tenderanno piuttosto a scegliere il primo Paese. In un contesto di questo tipo rischiano di aumentare anche tensioni e diseguaglianze sociali, rendendo più instabile lo stesso quadro politico. L’Italia oggi è tra le economie mature avanzate che maggiormente si avvicinano – purtroppo – alla situazione del secondo Paese. Va aggiunto che le nascite italiane non solo sono ad un livello molto basso, ma anche posizionate su una scala mobile che le trascina ancora più giù. La scala mobile è rappresentata dalla struttura per età della popolazione la quale, a causa della denatalità, è in progressivo sbilanciamento a sfavore delle generazioni giovani-adulte (la fonte di vitalità di un Paese).

Più il tempo passa, più diventa difficile (e se continua così tra pochi anni anche impossibile) invertire la curva negativa delle nascite. Ovviamente nessuno si convince ad avere figli per l’esigenza di evitare gli squilibri demografici. Queste considerazioni non entrano nel processo decisionale della coppia, ma dovrebbero entrare nelle scelte politiche e collettive. Infatti, se una comunità considera la nascita di un figlio non solo come costo e complicazione individuale a carico dei genitori, ma come valore collettivo che rende più solido il futuro comune, tenderà ad investire su strumenti che mettono chi desidera un bambino nella condizione non solo di averlo ma anche di accedere alle migliori opportunità di crescita. È utile osservare che ciò che distingue l’Italia dal resto d’Europa non è il numero di figli desiderato (attorno a 2), ma quello realizzato (pari a 1,25). Dal confronto con altri Paesi europei con fecondità più elevata, a parità di numero di figli desiderati quello che si nota è la maggior presenza in Italia di tre principali scogli. Superarli va nella direzione di favorire uno sviluppo sostenibile, oltre che mettere le persone nelle condizioni di realizzare i propri progetti di vita.

Il primo scoglio è relativo al tempo di arrivo del primo figlio ed è da ricondurre alle difficoltà dei giovani nella transizione scuola-lavoro e nel conquistare una propria indipendenza dalla famiglia di origine. Il secondo scoglio è quello che ostacola il percorso oltre il primo figlio. Se con la nascita del primogenito ci si trova in difficoltà ad armonizzare l’impegno esterno lavorativo e quello interno alla famiglia, difficilmente si rilancia con la nascita di altri figli. Infine, il terzo scoglio è da ricondurre al rischio di povertà di chi sceglie di avere un figlio. Esiste in Italia una forte relazione tra età della persona di riferimento della famiglia e povertà assoluta. Questa relazione si è andata rafforzando e poi consolidando nel tempo. In particolare, per tutto il decennio pre–pandemia, il rischio di povertà è stato quasi il doppio tra gli under 35 rispetto agli over 65. Ad essere lasciata esposta quindi, a condizioni di vulnerabilità economica, è proprio la fase in cui si è chiamati a porre basi solide per i propri progetti di vita. 

Un altro dato di rilievo che caratterizza la povertà in Italia è lo stretto legame con il numero di figli. I dati riferiti al 2019, peggiorati poi con la pandemia, mostrano come la povertà assoluta sia oltre il triplo per chi ha tre bambini rispetto a chi si ferma a uno.  Ed invero, la meno solida posizione nel mercato del lavoro dei giovani italiani, le maggiori difficoltà a conciliare il lavoro di entrambi i membri della coppia con la cura dei figli, le più deboli e frammentate misure di sostegno alle famiglie con figli, rendono più rilevante rispetto alla media europea l’impatto di una nascita sull’economia familiare. Anche il costo dei figli tende ad essere maggiore, ma soprattutto più protratto nel tempo per la maggiore permanenza nella famiglia di origine. Si tratta a questo punto di capire oggi se l’Italia si porrà per il futuro in continuità con il passato o se la combinazione tra le misure contenute nel PNRR e nel Family act, adeguatamente implementate su tutto il territorio, daranno la spinta necessaria per l’entrata in una fase nuova, di solida inversione di tendenza prima che sia definitivamente troppo tardi.

Per riuscirci, partendo dai livelli più bassi in Europa e con una struttura demografica più compromessa, è necessario passare dall’essere stati nell’ultimo decennio i peggiori, a porsi oggi come l’esempio da seguire nelle politiche familiari e per le nuove generazioni. Non è questione di una singola misura: serve un approccio sistemico e integrato. L’aumento delle nascite, dell’occupazione giovanile e della partecipazione femminile, assieme a una immigrazione con possibilità di adeguata integrazione,  sono tutti elementi che convergono in modo coerente a portare l’Italia verso lo scenario più alto tra quelli previsti dall’Istat all’orizzonte del 2050, rafforzando le condizioni di sviluppo inclusivo e sostenibile. Viceversa, la depressione ulteriore delle nascite si associa a persistenti difficoltà dei giovani a formare una propria famiglia, a una bassa conciliazione nelle coppie tra famiglia e lavoro, al rischio di povertà delle famiglie con figli.

Ed ecco allora che, sia la politica e le istituzioni da un lato, che i cittadini- in particolare i più giovani – dall’altro, devono urgentemente invertire la rotta e remare tutti insieme per tornare ad avere, anche nel nostro Paese, un ricambio generazionale adeguato e sufficiente, soprattutto per continuare a mantenere anche nel prossimo futuro lo standard di Paese sviluppato, attrattivo e ancora oggi competitivo. Il rischio, molto alto, è quello di disperdere nel tempo, lentamente ma inesorabilmente, risorse umane senza possibilità di rimpiazzarle. 

Così facendo, rischiamo un impoverimento di risorse umane senza precedenti, ed è per questo che diventa oggi fondamentale ripartire con nuove politiche per la famiglia e i figli, con incentivi concreti alla natalità, accompagnati però anche da una rinnovata fiducia, da parte delle giovani coppie, nella possibilità concreta di crearsi una propria famiglia senza troppi problemi o difficoltà. La strada è lunga, ma il percorso da seguire è quello già tracciato, e dev’essere seguito perché ne va del futuro del nostro intero Paese.