Ma perché siamo tra i più tassati d’Europa? La pressione fiscale è uno degli indicatori economici più discussi, soprattutto in Italia, dove i contribuenti spesso percepiscono un carico fiscale elevato rispetto ai servizi ricevuti.
Uno dei caposaldi della manovra per il 2025, su cui il governo Meloni ha puntato apertamente fin dall’inizio, è la conferma in modo strutturale dell’Irpef a tre aliquote e del taglio del cuneo fiscale. Queste due misure insieme costano 18 miliardi di euro all’anno, “uno degli interventi più onerosi mai realizzati nel sistema fiscale del nostro Paese” secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio. Ma, sempre stando all’analisi dell’Upb, il rischio è che per il modo in cui sono scritte le norme di fatto non ci saranno tre aliquote, ma sette. E una di queste, in particolare per i dipendenti che dichiarano tra i 32mila e i 40mila euro, schizzerà al 56% circa.
La pressione fiscale rappresenta il rapporto tra il totale delle entrate fiscali di un Paese e il suo Prodotto Interno Lordo (PIL). Questo indicatore misura il peso delle tasse e dei contributi sociali sull’economia nazionale. In Italia, secondo i dati più recenti, la pressione fiscale si attesta al 42,8% del PIL, una delle più alte tra i Paesi dell’OCSE. Questo dato include sia le imposte dirette, come IRPEF e IRES, che quelle indirette, come IVA e accise, oltre ai contributi previdenziali. Tuttavia, non tiene conto del cosiddetto “carico fiscale occulto”, rappresentato da tasse locali e balzelli vari, che spesso aumentano la percezione di una pressione fiscale ancora maggiore.
Analisi più recenti si sono proposte di mettere un po’ di ordine nel mercato del lavoro, dove, seguendo la mistica dell’impoverimento e delle diseguaglianze, si finiva per contare più volte le stesse platee in insiemi differenti.
il caso dei Neet che a lungo è stato ritenuto un fenomeno a sé e che nuove indagini, invece, tendono a riportare nell’ambito del lavoro irregolare e quindi ad un’area di parziale autonomia economica. In questa prospettiva anche il dato della povertà deve essere riconsiderato. Non è certo un processo di transizione in grado di fornire sicurezze per un futuro adeguato alle trasformazioni attese quello che viene presentato in tutte le sue fragilità del mercato del lavoro, dei grandi sistemi fiscali e di sicurezza sociale.