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ASSEGNO SOCIALE AI CITTADINI EXTRACOMUNITARI

Mar 21, 2025

LA CASSAZIONE CONFERMA IL DIRITTO ANCHE IN CASO DI BREVI ASSENZE DALL’ITALIA

Di recente, a febbraio scorso, la Cassazione si è pronunciata su un argomento che riguarda da vicino l’attività dei Patronati, ovvero il diritto all’assegno sociale per i cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti nel nostro Paese.

Vediamo innanzitutto quali requisiti occorrono per usufruire, in Italia, dell’assegno sociale.

In primo luogo, vi è un requisito anagrafico da soddisfare che, a partire dal 2019, è fissato a 67 anni; è necessario inoltre essere cittadini italiani e avere la residenza effettiva sul territorio nazionale; infine, bisogna non avere reddito, o comunque non superare i limiti fissati dalla legge (per l’anno 2024 il limite era di € 6.947,33 per il cittadino solo ed € 13.894,66 per il cittadino coniugato). Gli stranieri extracomunitari – e i cittadini dell’UE – sono equiparati, per il diritto al beneficio, ai cittadini italiani.

Per i cittadini extracomunitari in particolare, vige l’obbligo di essere soggiornanti di lungo periodo nel nostro Paese, ossia poter dimostrare di vivere in Italia da almeno 10 anni. A tal proposito, gli stranieri iscritti in anagrafe hanno l’obbligo di rinnovare, all’ufficio Anagrafe del Comune di residenza, la dichiarazione di dimora abituale. Pertanto – come ribadito anche dall’Inps – il permesso di soggiorno di lungo periodo, da solo non basta a provare il soggiorno legale continuativo in Italia; a tal fine è infatti necessaria un’altra verifica, da parte dell’INPS, dell’effettivo soggiorno continuativo decennale sul territorio italiano, che si esplica con il suddetto rinnovo della dichiarazione di dimora abituale.

Inoltre, sempre in relazione al requisito del soggiorno continuativo in Italia, l’INPS ha chiarito come, per verificare la sussistenza del requisito di permanenza decennale sul territorio italiano, il decennio va diviso in due periodi quinquennali consecutivi, e la continuità del soggiorno è interrotta solo nelle ipotesi in cui l’assenza dal territorio italiano sia pari o superiore a sei mesi continuativi calcolati nell’arco del singolo quinquennio, oppure nel caso di assenze complessivamente superiori a dieci mesi nell’arco dei cinque anni (in questo caso, l’interruzione della continuità del soggiorno coincide con il primo giorno successivo al decimo mese di assenza nel quinquennio).

Non interrompono la continuità del periodo invece, anche se superiori a sei mesi continuativi o a dieci mesi complessivi nell’arco di ciascun quinquennio, le assenze per necessità di adempiere agli obblighi militari, per gravi e documentati motivi di salute, ovvero per altri motivi rilevanti, quali la gravidanza e la maternità, la formazione professionale, oppure il distacco per motivi di lavoro all’estero.

Fatta questa doverosa premessa, veniamo alla sentenza in commento.   

La Corte d’Appello di Genova, con una decisione del novembre 2018, confermava la pronuncia del  Tribunale di primo grado, che aveva riconosciuto ad una cittadina albanese il diritto a beneficiare dell’asssegno sociale, considerando che i brevi periodi di assenza dall’Italia per rientrare in Albania non avevano fatto venir meno il requisito della sua permanenza decennale sul territorio nazionale. Contro la decisione della Corte d’Appello, l’INPS ha proposto ricorso per Cassazione, ed il giudizio si è concluso con la sentenza dello scorso febbraio.

Gli Ermellini hanno evidenziato come i giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) abbiano concordemente ritenuto che gli allontanamenti dall’Italia risultanti dalla documentazione acquisita agli atti, non fossero tali da compromettere il requisito della permanenza decennale sul territorio nazionale, correttamente interpretato come radicamento territoriale, che non si identifica con l’assoluta, costante ed ininterrotta permanenza sul territorio. La Suprema Corte ha ritenuto che nel caso in esame non ricorresse alcuno dei casi previsti per l’interruzione della continuità effettiva del soggiorno in Italia, in quanto i periodi di assenza dal territorio italiano erano di breve durata; le assenze quindi non si sono protratte per sei mesi continuativi nell’arco di un quinquennio, né hanno superato il limite fissato di dieci mesi complessivi (non continuativi) nei cinque anni.

La Cassazione ha pertanto dichiarato inammissibile il ricorso dell’INPS.

Si tratta di una pronuncia interessante, a tutela dei cittadini più deboli e svantaggiati, che in questo caso sono stati tutelati nei loro diritti.

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