Lo smart working è una modalità che è stata adottata dalle aziende in casi di emergenza, come quella che ha interessato l’Italia da marzo 2020 per la diffusione del Coronavirus.
Nelle aree colpite dall’epidemia moltissimi sono i lavoratori che hanno continuato la loro attività da casa, questo per ridurre al minimo le possibilità di contagio e tutelare i soggetti più deboli.
Lo smart working è la fine dell’ufficio?
Ha cambiato il nostro modo di lavorare, la percezione dei nostri spazi vitali. Ha modificato i rapporti tra colleghi e le modalità con cui svolgere le riunioni. Ha indotto molte imprese a valicare il muro dello scetticismo o del pregiudizio negativo. È stato il miglior strumento per affrontare una crisi senza precedenti, un evento imprevedibile e devastante. È questo lo smart working. O meglio è stato questo finora. Prima o poi la pandemia finirà, ma non il nuovo modo di lavorare.
In poche parole, l’emergenza sanitaria ha costretto i datori di lavoro a ricorrere, ove possibile, allo smart working, anche quando questa modalità lavorativa non era mai stata prima sperimentata o disciplinata con accordi e policy adeguate. Questo ha, però, comportato un uso delle “strumento” lavoro-agile senza possibilità di esercitare i presupposti di autonomia e flessibilità nella scelta del luogo di lavoro che dovrebbero contraddistinguerlo e senza aver prima avviato un percorso di trasformazione della cultura organizzativa aziendale, dei comportamenti e degli stili di leadership verso approcci più orientati alla responsabilizzazione sui risultati.
Dal 15 ottobre all’interno dell’amministrazione pubblica il lavoro in ufficio tornerà a essere la modalità ordinaria. La ripresa sarà comunque graduale: prima toccherà ai dipendenti agli sportelli, dopodiché sarà la volta dei lavoratori del back office, sia nelle amministrazioni centrali che in quelle periferiche.
Nella stessa data entrerà in vigore anche l’obbligo del green pass per avere accesso al luogo di lavoro.
Dal 1° gennaio 2022, invece, il limite massimo di dipendenti che potranno lavorare in smart working sarà pari al 15% (oggi in alcuni uffici si supera la percentuale del 50%). A questo proposito, ogni amministrazione dovrà presentare il Piano integrato attività e organizzazione, inserendo gli obiettivi strategici e programmatici delle prestazioni, oltre alla strategia di gestione delle risorse umane (in cui rientra il ricorso allo smart working).
Lo smart working non verrà abbandonato con l’uscita dalla crisi pandemica, ma fra un mese dovrebbe arrivare un contratto per il lavoro agile per i dipendenti pubblici.
I nuovi contratti per il lavoro da remoto, saranno probabilmente individuali e temporanei, specificheranno quante giornate di lavoro verranno svolte in presenza o da casa e identificheranno anche il luogo in cui svolgere la propria attività, che non potrà essere fuori dall’Italia.
Tuttavia, non tutti i lavoratori e le lavoratrici potranno usufruire del lavoro a distanza. Alcune categorie di lavoratori saranno facilitate ad accedere allo smart working, come i genitori con figli e figlie minori di 3 anni o con disabilità e i lavoratori disabili. Mentre saranno esclusi dal lavoro a distanza i lavoratori impiegati a turno e quelli che richiedono l’uso di strumentazioni non utilizzabili da remoto.
Anche nel settore privato potrà essere utile approvare una normativa relativa al lavoro agile.
In una battuta: guardare all’esperienza del più recente passato per costruire il futuro.