È stata pubblicata un’interessante pronuncia della Cassazione in materia di orario di lavoro. La decisione è stata assunta alla luce dell’interpretazione della Suprema Corte di uno dei quesiti posti. I ricorrenti sono dipendenti di una s.p.a. che si occupa di interventi di manutenzione di macchinari per aziende e studi; essi utilizzano sempre l’automezzo aziendale per raggiungere (ad inizio giornata) il luogo in cui effetuare il primo intervento e successivamente, a fine giornata, riportano il veicolo nella sede aziendale.
La questione sollevata dai ricorrenti riguarda la mancata corresponsione della retribuzione del tempo impiegato per raggiungere, a bordo del mezzo aziendale, il primo cliente ed il tempo necessario a coprire la distanza tra il luogo dell’ultimo intervento e l’azienda stessa. I ricorrenti hanno impugnato l’accordo sindacale aziendale che non riconosce questa parte di retribuzione, se non nella misura in cui ecceda eventualmente i 30 minuti al giorno, calcolati su uno standard di 15 minuti a tratta, tra andata e ritorno.
Hanno chiesto che venisse dichiarata nulla la clausola dell’accordo sindacale perchè, ai sensi della normativa applicabile, deve essere retribuito ogni momento in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro nello svolgimento delle sue mansioni, incluso il tempo dello spostamento necessario. Hanno chiesto inoltre, eventualmente anche tramite una consulenza tecnica d’uffico di natura contabile, che fosse riconosciuto in loro favore il diritto ad essere retribuiti per 30 minuti al giorno in più rispetto a quanto già percerpito, con condanna del datore di lavoro al pagamento del relativo importo.
La vicenda, che pure vedeva le richieste dei ricorrenti parzialmente accolte sia in primo grado che in appello, giungeva però innanzi alla Suprema Corte perchè, sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano sì le domande volte a riconoscere la parziale nullità dell’accordo impugnato, ed il diritto ad una retribuzione del tempo necessario a raggiungere il primo cliente e quello per far ritorno in azienda, ma rigettavano poi la richiesta di condanna del datore di lavoro al pagamento dei relativi importi, per l’asserita mancanza di allegazione e di prove in relazione al tempo effettivamente rivendicato dai lavoratori.
La Cassazione, con una sentenza che, a parere di chi scrive, è destinata a fare da battistrada sull’argomento, completa il ragionamento già iniziato dalle Corti territoriali, esprimendosi come segue.
Se la clausola impugnata dai ricorrenti è nulla, e da ciò logicamente e giuridicamente consegue che il tempo impiegato dai lavoratori per raggiungere il domicilio del primo cliente, insieme a quello speso per far ritorno in azienda dalla sede del’ultimo cliente sono da retribuire – in ossequio al principio della corrispettività delle prestazioni in materia giuslavoristica (alla quantità e qualità del lavoro corrisponde sempre una retribuzione proporzionata e sufficiente) – a maggior ragione, seguendo il ragionamento della Corte, il Tribunale di prime cure avrebbe dovuto accertare (anche disponendo una consulenza tecnica d’ufficio, ovvero una perizia giurata redatta da un esperto nominato dal giudice) il quantum spettante ai lavoratori, anche avvalendosi del sistema di geolocalizzazione del veicolo aziendale.
Di conseguenza la Cassazione ha accolto totalmente le richieste dei ricorrenti, rinviando alla Corte d’Appello per la quantificazione del dovuto ai lavoratori.
Si tratta di un importante riconoscimento dei diritti dei lavoratori (troppo spesso non pienamente riconosciuti nel nostro Paese), che la Cassazione ha ritenuto meritevoli di accoglimento e di esatta e puntuale valutazione.